Dalla rubrica di Gianni Minà APPUNTI & CONTRAPPUNTI contenuta nel VIVAVERDI -il giornale edito dalla SIAE-, ecco uno sfogo, recensione -chiamatela come volete- dedicato/ dedicata a Edoardo.
SE BENNATO SEGNALA CHE LA MUSICA POPOLARE NON E’ MORTA
di Gianni Minà
«Ogni tanto un artista non allineato segnala la vitalità della canzone d’autore,spesso mortificata dall’industria discografica, dalla dittatura dei deejay e dalla mediocrità dell’offerta televisiva. Dalle sabbie mobili dove, da tempo, è impantanata la nostra musica popolare, che ancora qualcuno chiama leggera, malgradoper anni abbia rappresentato un riscatto della nostra identità, si risveglia ogni tanto l’orgoglio di un artista. Solitamente è un autore o un cantante che si è rifiutato di rimanere imprigionato nelle mode del momento, nei ricatti di molti deejay, o nei discorsi insulsi dell’ultimo “rappero” in auge, e sfida i luoghi comuni che stanno facendo morire il piacere di scrivere una canzone. Questi personaggi liberi dal conformismo esistono ancora, ed uno di loro è sicuramente Edoardo Bennato. Il suo ultimo cd Le vie del rock sono infinite, che le mie figlie mi hanno fatto scoprire per caso, conferma il mio rispetto per lui. Lo conosco dai primi anni ‘80 quando, prima ancora di giganti come Bob Marley o di altre leggende della musica moderna, riempì lo stadio di San Siro (sessantamila persone) con un concerto memorabile che la Rai Due di allora mi chiese di riassumere in due programmi intitolati E invece si e invece no, ispirandosi proprio ad un disco di Edoardo uscito nell’81. Mi piacque subito quella sua fede incrollabile nel rock and roll tradizionale, respirato, come tanti colleghi napoletani, nella base Nato della città e riproposto nel cortile della Casa popolare di Bagnoli, dove gli operai dell’Italsider, come suo padre, lavoravano nella fabbrica che forse distruggeva il paesaggio, ma assicurava la vita a tante famiglie nell’era dell’Italia del boom industriale. Edoardo, laureato in architettura, spesso con la collaborazione anche di suo fratello Eugenio, artista poliedrico, non nascondeva in molte canzoni il suo disagio estetico per una modernità che esigeva però un prezzo. Ed era il suo contributo inedito, nuovissimo, all’impresa di nobilitare i versi poetici delle canzoni. Non si dava delle arie Bennato, era autoironico, e l’arma dello sberleffo che spesso usava per toccare temi sociali, l’assurdità delle guerre, la presunzione di tanti rapaci del nostro presuntuoso paese, lo facevano accettare anche da chi, pervicacemente, insisteva sul fatto che la canzonetta non poteva essere altro che una canzonetta e non un componimento di denuncia. Sono passati trent’anni e il cantautore raffinato di Non farti cadere le braccia e di Un giorno credi, ma anche quello critico della Torre di Babele, Burattino senza fili, Uffa! Uffa!, Sono solo canzonette, o quello più recente di E’ asciuto pazzo ‘o padrone, Viva la mamma, Totò sapore e L’uomo occidentale, non ha perso la sua vena, il suo impegno (una canzone come A cosa serve la guerra, tratta da L’uomo occidentale, non la scrive chiunque in Italia). Chi ha invece perso la sua capacità di essere è proprio quell’industria disco grafica (o ex industria) ormai incapace di sostenere non solo Edoardo Bennato, ma quasi tutti i nuovi Edoardo Bennato che mettono timidamente fuori la faccia nell’ambiente italiano della musica popolare. Certo, è difficile e scabroso il lavoro del discografico, in una realtà dove saccenti deejay rifiutano l’impegno di cantautori come Bennato o Pino Daniele, con la proterva ragione che gli “potrebbero disturbare l’umore della radio”. Ma il pregiudizio che circonda tutto quello che non è bieco conformismo della musica attuale sfiora quasi l’autolesionismo. Quei pochi artisti che ancora riescono a riempire gli spazi in una tournée italiana si sono salvati, al di là dei loro meriti, perché hanno avuto vicino qualcuno capace di costruir loro attorno, nel tempo,un apparato di divismo, un’attesa (spesso tenuta in piedi da un giornalismo conformista) che assicura a questi artisti un’aspettativa artefatta in molti strati del pubblico. Forse l’atteggiamento schivo di Edoardo Bennato, il suo sarcasmo, la sua ironia di fronte a certi atteggiamenti pretesi dalla promozione commerciale nel campo della musica popolare, non gli hanno regalato sempre l’attenzione che le sue proposte hanno meritato e meritano. Ma la qualità inossidabile di questo suo ultimo lavoro, Le vie del rock sono infinite, dove ancora una volta coniuga un sano rock and roll e anche il meglio della sua ispirazione romantica, con versi di rifiuto della guerra, dell’arrivismo, dell’arroganza e perfino del divismo della sua categoria (quella tante volte irrisa del cantautore) merita attenzione e segnala che la musica popolare in Italia non è morta e potrebbe ancora svolgere la sua funzione.»
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